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MURO BERLINO: CARD.SILVESTRINI, NEMMENO WOJTYLA SI ASPETTAVA SUA CADUTA
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MURO BERLINO: CARD.SILVESTRINI, NEMMENO WOJTYLA SI ASPETTAVA SUA CADUTA
(ASCA) - Citta' del Vaticano, 7 nov - Nel 1989, tutti, in Vaticano, compreso papa Giovanni Paolo II, furono colti sostanzialmente di sorpresa dall'ondata di movimenti popolari che portarono nel giro di pochi mesi alla caduta del Muro di Berlino e al crollo dei regimi filosovietivi dell'Europa Orientale: a raccontarlo all'ASCA, in un'intervista alla vigilia del ventennale di quel 9 novembre, e' il card.
Achille Silvestrini, per due decenni e piu' al cuore della politica estera della Santa Sede (fino ad arrivare a ricoprire, dal 1979 al 1988, l'incarico di 'ministro degli esteri' vaticano) e promotore, insieme al Segretario di Stato card. Agostino Casaroli, della 'Ostpolitik', la politica di cauta apertura della Chiesa nei confronti dei regimi comunisti.
Per il card. Silvestrini, nell'accelerare quel passaggio epocale ebbe un ruolo naturalmente ''determinante'' la sfida portata da Giovanni Paolo II, a cominciare dalla sua stessa elezione nel 1979 per culminare con il suo viaggio in Polonia.
''Il problema - spiega pero' il porporato - era sempre l'Unione Sovietica'' con sui ''non si riusciva a trattare'': ''Anche quando si riusciva a discutere e a raggiungere accordi con Paesi come l'Ungheria, la Polonia, la Cecoslovacchia e cosi' via, la Russia si rifiutava. Con loro si potevano trattare solo gli affari internazionali, una cosa anzi a cui tenevano, come testimonia il fatto che Gromyko sia venuto in Vaticano piu' di una volta''. ''Ma sulla liberta' religiosa o su una maggiore apertura alla Chiesa - aggiunge il cardinale - non volevano discutere'' perche' nell'Unione Sovietica ''la legge religiosa era quella che era, era gia' fissata, ci dicevano, e se si voleva aprire una chiesa si dovevano rispettare delle condizioni. Non c'era un vero rapporto, su questi temi''.
Poi, prosegue nel racconto il cardinale, che nel 1988 era stato creato cardinale e promosso prefetto del Tribunale della Segnatura Apostolica, tutto comincio' a cambiare molto rapidamente: ''Non ci aspettavamo che sarebbe accaduto cosi' in fretta, non c'era alcuna previsione, anche da parte di papa Giovanni Paolo II. Si aveva l'impressione che quel sistema sarebbe potuto durare per un tempo non prevedibile. E la stessa cosa ci dicevano anche i vescovi dei Paesi dell'Est, a cominciare ad esempio dal cardinale polacco Wyszynski''. Certo, aggiunge, un cambiamento, seppur piccolo era cominciato gia' con la conferenza di Helsinki, nel 1973 e ''si aveva la distinta impressione che il gruppo dominante sovietico fosse invecchiato e si limitasse a gestire l'esistente'' ma, malgrado i ''contatti costanti che avevamo con i governi, soprattutto in quei Paesi dove c'erano trattative per le nomine vescovili'', la caduta del Muro arrivo' all'improvviso.
Il card. Silvestrini invita pero' non giudicare semplicisticamente quel periodo. Alcuni anni fa, in un libro dedicato al cardinal Casaroli, notava come ''nel mare di studi che tentano di storicizzare il passaggio epocale del 1989, finiscano per inserirsi anacronismi e semplificazioni ideologiche che tendono a usare il collasso dell'impero sovietico come un'occasione con cui giudicare protagonisti e vittime del tempo piu' che quarantennale che separa la presa del potere dei regimi guidati da Mosca dalla caduta del muro di Berlino''. Certo, dice oggi, ''il regime comunista, negatore della fede e di ogni significato religioso, e' crollato'' e ''oggi c'e' un'altra situazione'', con i governi che, in Russia come nell'Europa Orientale, rispettano e hanno un rapporto proficuo con la Chiesa cattolica e quella ortodossa. Pero', aggiunge, ''gia' nell'enciclica Centesimus Annus Giovanni Paolo II avvertiva che la caduta del comunismo non vuol dire la vittoria e il trionfo della mentalita' capitalista''. Quanto alla Chiesa, alla caduta del Muro ''c'era capitale morale da spendere'', osserva il cardinale.
''Quanto questo sia stato possibile, non lo so''.
Achille Silvestrini, per due decenni e piu' al cuore della politica estera della Santa Sede (fino ad arrivare a ricoprire, dal 1979 al 1988, l'incarico di 'ministro degli esteri' vaticano) e promotore, insieme al Segretario di Stato card. Agostino Casaroli, della 'Ostpolitik', la politica di cauta apertura della Chiesa nei confronti dei regimi comunisti.
Per il card. Silvestrini, nell'accelerare quel passaggio epocale ebbe un ruolo naturalmente ''determinante'' la sfida portata da Giovanni Paolo II, a cominciare dalla sua stessa elezione nel 1979 per culminare con il suo viaggio in Polonia.
''Il problema - spiega pero' il porporato - era sempre l'Unione Sovietica'' con sui ''non si riusciva a trattare'': ''Anche quando si riusciva a discutere e a raggiungere accordi con Paesi come l'Ungheria, la Polonia, la Cecoslovacchia e cosi' via, la Russia si rifiutava. Con loro si potevano trattare solo gli affari internazionali, una cosa anzi a cui tenevano, come testimonia il fatto che Gromyko sia venuto in Vaticano piu' di una volta''. ''Ma sulla liberta' religiosa o su una maggiore apertura alla Chiesa - aggiunge il cardinale - non volevano discutere'' perche' nell'Unione Sovietica ''la legge religiosa era quella che era, era gia' fissata, ci dicevano, e se si voleva aprire una chiesa si dovevano rispettare delle condizioni. Non c'era un vero rapporto, su questi temi''.
Poi, prosegue nel racconto il cardinale, che nel 1988 era stato creato cardinale e promosso prefetto del Tribunale della Segnatura Apostolica, tutto comincio' a cambiare molto rapidamente: ''Non ci aspettavamo che sarebbe accaduto cosi' in fretta, non c'era alcuna previsione, anche da parte di papa Giovanni Paolo II. Si aveva l'impressione che quel sistema sarebbe potuto durare per un tempo non prevedibile. E la stessa cosa ci dicevano anche i vescovi dei Paesi dell'Est, a cominciare ad esempio dal cardinale polacco Wyszynski''. Certo, aggiunge, un cambiamento, seppur piccolo era cominciato gia' con la conferenza di Helsinki, nel 1973 e ''si aveva la distinta impressione che il gruppo dominante sovietico fosse invecchiato e si limitasse a gestire l'esistente'' ma, malgrado i ''contatti costanti che avevamo con i governi, soprattutto in quei Paesi dove c'erano trattative per le nomine vescovili'', la caduta del Muro arrivo' all'improvviso.
Il card. Silvestrini invita pero' non giudicare semplicisticamente quel periodo. Alcuni anni fa, in un libro dedicato al cardinal Casaroli, notava come ''nel mare di studi che tentano di storicizzare il passaggio epocale del 1989, finiscano per inserirsi anacronismi e semplificazioni ideologiche che tendono a usare il collasso dell'impero sovietico come un'occasione con cui giudicare protagonisti e vittime del tempo piu' che quarantennale che separa la presa del potere dei regimi guidati da Mosca dalla caduta del muro di Berlino''. Certo, dice oggi, ''il regime comunista, negatore della fede e di ogni significato religioso, e' crollato'' e ''oggi c'e' un'altra situazione'', con i governi che, in Russia come nell'Europa Orientale, rispettano e hanno un rapporto proficuo con la Chiesa cattolica e quella ortodossa. Pero', aggiunge, ''gia' nell'enciclica Centesimus Annus Giovanni Paolo II avvertiva che la caduta del comunismo non vuol dire la vittoria e il trionfo della mentalita' capitalista''. Quanto alla Chiesa, alla caduta del Muro ''c'era capitale morale da spendere'', osserva il cardinale.
''Quanto questo sia stato possibile, non lo so''.
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