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Riforma del lavoro: le novità sui licenziamenti
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Riforma del lavoro: le novità sui licenziamenti
Flessibilità in uscita: con la riforma sul mercato del lavoro del Ministro Fornero il giudice decide sull’indennità e sul reintegro, tranne nei casi di discriminazione. Obbligatoria la conciliazione. Tempi abbreviati e certi per le cause
La Riforma del Lavoro approvata dal Parlamento il 27 giugno 2012 è in fase di pubblicazione in GU. In tema di licenziamenti, ribattezzati più nobilmente“flessibilità in uscita” la novità principale è l’introduzione di una maggiore discrezionalità del giudice in tema di valutazione dei motivi del licenziamento nella aziende sopra i 15 dipendenti, ossia quelli regolati dall’art. 18 .
Si riduce di fatto la tutela dell’art. 18 che prevedeva il reintegro automatico del lavoratore , restando valida solo nei casi in cui sia evidente la “manifesta infondatezza delle ragioni economiche o organizzative” addotte dall’azienda.
Ci sono importanti novità comunque anche per quanto riguarda la tempistica delle cause sul lavoro in quanto la legge detta molto precisamente i termini massimi per la convocazione delle parti e la discussione della conciliazione, riduce i tempi di presentazione dei ricorsi e scandisce addirittura i tempi per la decisione dei giudici, nei vari gradi e il deposito delle motivazioni della sentenza (I giorni per il deposito del ricorso passano da 270 a180. Dopo il deposito l’udienza sarà entro 40 giorni. l’opposizione ha tempo 30 giorni dalla notifica del provvedimento e l’udienza sarà fissata entro 60gg. I reclami in appello hanno 30 giorni di tempo con udienza entro 60gg. )
LE NUOVE REGOLE SUI LICENZIAMENTI
Per quanto riguarda le procedure e le motivazioni di licenziamento che possono determinarne l’annullamento, la nuova legge se ne occupa dal comma 37 al comma 69 dell’art. 1.
Il comma 37 introduce innanzitutto l’obbligo di indicare il motivo del licenziamento nella lettera fatta pervenire al lavoratore al suo domicilio o a mano (con ricevuta) illustrando le eventuali misure per le ricollocazione.
In caso contrario il licenziamento è inefficace e si applica il reintegro automatico con indennità risarcitoria pari alle mensilità non percepite.
Lo stesso vale, ancora, per i licenziamenti discriminatori o che violano le norme sulla pari opportunità o sulla maternità/paternità . L’onere della prova ricade comunque sul lavoratore . Questo regime si applica a prescindere dal numero di lavoratori occupati in una azienda.
Nei casi invece di licenziamenti per giustificato motivo “oggettivo” (ad es. motivo economico o organizzativo ) per le imprese che rientrano nell’art. 18 della legge 300 /1970 (sono le aziende sopra i 15 dipendenti o 60 a livello nazionale ), una importante novità è la procedura preventiva per cui il datore di lavoro deve comunicare la sua intenzione di recedere dal contratto alla Direzione territoriale dell’Ufficio del Lavoro con tentativo di conciliazione obbligatoria convocata entro 7 giorni e della durata massima di 20gg. In questa fase le parti possono chiedere di essere assistite da consulendti o associazioni sindacali.
Solo la tutela della maternità o di soggetti a infortunio sul lavoro, possono sospendere la procedura (e quindi il licenziamento). L’impedimento legitttimo del lavoratore a comparire vale per un massimo di 15 giorni.
Nel caso di risoluzione consensuale con la conciliazione il lavoratore accede all ‘Aspi, il nuovo ammortizzatore sociale che sostituisce mobilità e indennità di disoccupazione.
In caso invece di mancata conciliazione e ricorso al Giudice del lavoro , solo se egli accerta la “manifesta”’insussistenza del motivo oggettivo (concetto che forse oggetto di differenti valutazioni e probabilmente su cui si pronuncerà la giurisprudenza) resta in vigore il reintegro obbligatorio nel posto di lavoro e una sanzione pari a massimo 12 mensilità.
Il lavoratore può però scegliere di non essere reintegrato ed ottenere, oltre al risarcimento fissato dal Giudice, il pagamento di altre 15 mensilità.
Negli altri casi la maggioranza, probabilmente, in cui l’insussistenza del motivo economico sia meno evidente il giudice annulla il licenziamento ma cio non si traduce in automatico diritto al reintegro bensì ad una indennità risarcitoria che il giudice stesso potrà fissare tra un minimo di 12 e 24 mensilità tenendo conto di vari fattori come:
l’anzianità del lavoratore
le dimensioni e i dipendenti dell’impresa,
le iniziative per la ricerca di nuova occupazione,
il comportamento tenuto dalle parti nella fase di conciliazione.
Novità anche per i licenziamenti per i quali l’azienda indica un motivo di giusta causa “soggettivo”, ad es. disciplinare .
Si prevede infatti che per accertare la fondatezza del motivo il giudice deve fare riferimento anche a quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro in tema di comportamenti inadeguati e quindi sanzionabili. In caso di infondatezza del motivo di licenziamento il datore di lavoro è obbligato al reintegro e al risarcimento del danno retributivo e contributivo fino a 12 mensilità (dedotto quanto percepito dalla data di licenziamento e quella di reintegro).
Anche in questo caso dunque una maggiore discrezionalità del giudice, in quanto non tutti i contratti collettivi indicano esempi di comportamenti disciplinarmente rilevanti.
Fonte: Fiscoetasse.com
La Riforma del Lavoro approvata dal Parlamento il 27 giugno 2012 è in fase di pubblicazione in GU. In tema di licenziamenti, ribattezzati più nobilmente“flessibilità in uscita” la novità principale è l’introduzione di una maggiore discrezionalità del giudice in tema di valutazione dei motivi del licenziamento nella aziende sopra i 15 dipendenti, ossia quelli regolati dall’art. 18 .
Si riduce di fatto la tutela dell’art. 18 che prevedeva il reintegro automatico del lavoratore , restando valida solo nei casi in cui sia evidente la “manifesta infondatezza delle ragioni economiche o organizzative” addotte dall’azienda.
Ci sono importanti novità comunque anche per quanto riguarda la tempistica delle cause sul lavoro in quanto la legge detta molto precisamente i termini massimi per la convocazione delle parti e la discussione della conciliazione, riduce i tempi di presentazione dei ricorsi e scandisce addirittura i tempi per la decisione dei giudici, nei vari gradi e il deposito delle motivazioni della sentenza (I giorni per il deposito del ricorso passano da 270 a180. Dopo il deposito l’udienza sarà entro 40 giorni. l’opposizione ha tempo 30 giorni dalla notifica del provvedimento e l’udienza sarà fissata entro 60gg. I reclami in appello hanno 30 giorni di tempo con udienza entro 60gg. )
LE NUOVE REGOLE SUI LICENZIAMENTI
Per quanto riguarda le procedure e le motivazioni di licenziamento che possono determinarne l’annullamento, la nuova legge se ne occupa dal comma 37 al comma 69 dell’art. 1.
Il comma 37 introduce innanzitutto l’obbligo di indicare il motivo del licenziamento nella lettera fatta pervenire al lavoratore al suo domicilio o a mano (con ricevuta) illustrando le eventuali misure per le ricollocazione.
In caso contrario il licenziamento è inefficace e si applica il reintegro automatico con indennità risarcitoria pari alle mensilità non percepite.
Lo stesso vale, ancora, per i licenziamenti discriminatori o che violano le norme sulla pari opportunità o sulla maternità/paternità . L’onere della prova ricade comunque sul lavoratore . Questo regime si applica a prescindere dal numero di lavoratori occupati in una azienda.
Nei casi invece di licenziamenti per giustificato motivo “oggettivo” (ad es. motivo economico o organizzativo ) per le imprese che rientrano nell’art. 18 della legge 300 /1970 (sono le aziende sopra i 15 dipendenti o 60 a livello nazionale ), una importante novità è la procedura preventiva per cui il datore di lavoro deve comunicare la sua intenzione di recedere dal contratto alla Direzione territoriale dell’Ufficio del Lavoro con tentativo di conciliazione obbligatoria convocata entro 7 giorni e della durata massima di 20gg. In questa fase le parti possono chiedere di essere assistite da consulendti o associazioni sindacali.
Solo la tutela della maternità o di soggetti a infortunio sul lavoro, possono sospendere la procedura (e quindi il licenziamento). L’impedimento legitttimo del lavoratore a comparire vale per un massimo di 15 giorni.
Nel caso di risoluzione consensuale con la conciliazione il lavoratore accede all ‘Aspi, il nuovo ammortizzatore sociale che sostituisce mobilità e indennità di disoccupazione.
In caso invece di mancata conciliazione e ricorso al Giudice del lavoro , solo se egli accerta la “manifesta”’insussistenza del motivo oggettivo (concetto che forse oggetto di differenti valutazioni e probabilmente su cui si pronuncerà la giurisprudenza) resta in vigore il reintegro obbligatorio nel posto di lavoro e una sanzione pari a massimo 12 mensilità.
Il lavoratore può però scegliere di non essere reintegrato ed ottenere, oltre al risarcimento fissato dal Giudice, il pagamento di altre 15 mensilità.
Negli altri casi la maggioranza, probabilmente, in cui l’insussistenza del motivo economico sia meno evidente il giudice annulla il licenziamento ma cio non si traduce in automatico diritto al reintegro bensì ad una indennità risarcitoria che il giudice stesso potrà fissare tra un minimo di 12 e 24 mensilità tenendo conto di vari fattori come:
l’anzianità del lavoratore
le dimensioni e i dipendenti dell’impresa,
le iniziative per la ricerca di nuova occupazione,
il comportamento tenuto dalle parti nella fase di conciliazione.
Novità anche per i licenziamenti per i quali l’azienda indica un motivo di giusta causa “soggettivo”, ad es. disciplinare .
Si prevede infatti che per accertare la fondatezza del motivo il giudice deve fare riferimento anche a quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro in tema di comportamenti inadeguati e quindi sanzionabili. In caso di infondatezza del motivo di licenziamento il datore di lavoro è obbligato al reintegro e al risarcimento del danno retributivo e contributivo fino a 12 mensilità (dedotto quanto percepito dalla data di licenziamento e quella di reintegro).
Anche in questo caso dunque una maggiore discrezionalità del giudice, in quanto non tutti i contratti collettivi indicano esempi di comportamenti disciplinarmente rilevanti.
Fonte: Fiscoetasse.com
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